Gli Usa e il Medio Oriente, radicalismo buono e cattivo
di Rudy Caparrini
20 febbraio 2007

Il giorno 19 febbraio si è avuto un incontro a Gerusalemme a cui hanno preso parte il segretario di Stato americano Condoleeza Rice, il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen. Il meeting era stato fortemente voluto da Condy Rice, che si sta impegnando a fondo per far ripartire il processo di pace in Medio Oriente. Non è ancora il momento di pronunciarsi sull'esito dei colloqui. La sintesi esposta dalla numero uno della diplomazia americana, la quale afferma che si è raggiunto un accordo per la soluzione di due Stati in Palestina, non deve indurre a eccessivo ottimismo. Altre volte in passato era emersa questa prospettiva. Tuttavia, ogni volta che le parole dovevano tradursi in fatti sono emersi sempre nuovi ostacoli. Pure in questa occasione non sarà facile. Soprattutto, lascia molti dubbi il fatto che la Rice e Olmert abbiano scelto Abu Mazen come unico interlocutore per i palestinesi senza coinvolgere Hamas, il movimento islamico uscito vincitore dalle elezioni legislative del 2006 sconfiggendo Fatah, il partito del presidente che dominava la scena politica interna da decenni. L'esclusione di Hamas dai colloqui non è un buon segnale per la ripresa del processo di pace.

Al contrario, se davvero Olmert e l'amministrazione Bush dovessero insistere nel porre il veto a un governo palestinese di unità nazionale, composto dalla "grande coalizione" formata da Hamas e Fatah, la tensione potrebbe riesplodere in modo drammatico. A quel punto, i due contendenti del fronte palestinese potrebbero compattarsi nel nome della comune avversione a Israele e agli Usa. Il risultato sarebbe una nuova Intifada, passibile di affossare le poche speranze di rendere linfa al processo di pace. Senza coinvolgere Hamas, che fino a oggi rappresenta comunque la maggioranza dei palestinesi, non si potrà davvero pensare di riavviare il dialogo fra le parti. La popolazione palestinese non sarebbe mai disposta a digerire un simile diktat da parte dei suoi due più grandi nemici. In effetti, senza volere negare le evidenti responsabilità da parte palestinese, diventerebbe fin troppo semplice per l'Anp recitare il ruolo della vittima, giacchè il rifiuto totale da parte degli Usa di accettare Hamas come potenziale interlocutore appare come un'evidente ingerenza negli affari interni palestinesi, davvero difficile da giustificare anche da parte della comunità internazionale.

La rigidità da parte americana rivela una grave contraddizione rispetto alla linea politica di cui il presidente George Bush jr. si era fatto paladino fin dal 2003, quando lanciò la campagna di invasione dell'Iraq nel nome del desiderio di "esportare la democrazia". Il presidente americano sta agendo in modo antitetico rispetto al pronunciamento ideologico emerso al momento in cui fu reso noto il progetto di Grande Medio Oriente. Se l'obiettivo è davvero quello di esportare la democrazia, non si capisce perché l'amministrazione stia assumendo atteggiamenti di massimo ostracismo rispetto a tre realtà scaturite da elezioni - più o meno - libere: l'Anp dove ha vinto Hamas; l'Iran che ha eletto come presidente Mahmud Ahmadinejad; il risultato notevole dei Fratelli Musulmani in Egitto. Gli alti esponenti dell'amministrazione Bush parlano spesso di Hamas e Ahmadinejad, ponendo in evidenza la pericolosità delle loro posizioni oltranziste. Tuttavia, non viene concesso abbastanza risalto al fatto che entrambi sono risultati eletti da una consultazione popolare. Il giudizio di valore sulle parti in causa dovrebbe essere considerato un elemento secondario da parte di Washington, giacchè la democrazia significa meramente la possibilità di una libera scelta di un rappresentante, senza entrare nel merito delle scelte che un elettorato nazionale compie nel pieno della sua sovranità.

Un'ulteriore contraddizione ideologica sul concetto di democrazia emerge ripensando al contesto politico dell'Egitto, che ha visto il movimento dei Fratelli Musulmani (o Fratellanza Musulmana) conquistare oltre cento seggi in Parlamento. Il caso egiziano gode di meno visibilità a livello internazionale, giacchè il partito di ispirazione islamica non è al governo. Tuttavia, proprio nel caso della Fratellanza Musulmana si può compiere un ragionamento che svela l'eccessiva parzialità da parte degli Usa nei confronti di situazioni analoghe. Il movimento dei Fratelli Musulmani, fondato nel 1928 dallo sceicco Hassan al Banna, è stato messo al bando perché rappresenta il più antico esempio di gruppo politico che si ispira al wahabismo, emblema del radicalismo religioso che minaccia democrazia e libertà in ogni zona del mondo. Hamas stessa è espressione dell'ideologia della Fratellanza Musulmana e l'intero contesto del radicalismo islamico in Palestina affonda le sue radici nei Fratelli Musulmani. Il braccio armato di Hamas è rappresentato dalla Brigata Ezzedin Al-Qassam, che prende il nome dal leader combattente egiziano degli anni 30 che per primo diffuse l'ideologia della Fratellanza Musulmana in Palestina.

L'avversione ai concetti predicati dai Fratelli Musulmani farebbero credere che gli Usa vogliono condurre una battaglia decisa contro il wahabismo. Una volontà che parrebbe confermata dall'impegno che l'esercito americano, insieme alla Nato, continua a mettere in campo in Afghanistan contro i Talebani, l'espressione più radicale che il wahabismo abbia mai conosciuto. Questo fondamento ideologico viene però contraddetto dal pieno appoggio che gli Usa hanno sempre fornito al regno d'Arabia Saudita, lo Stato wahabita per eccellenza del Medio Oriente. Un Paese dove, secondo varie fonti attendibili, le libertà personali, quelle delle donne in particolare, sono soggette a gravissime restrizioni. Dobbiamo, allora, pensare che esitano wahabiti buoni e wahabiti cattivi, a seconda della convenienza. Il radicalismo può essere tollerato se funzionale ai propri interessi. Una disuguaglianza di trattamento assai discutibile. I principi evocati quando fu lanciata l'idea di Grande Medio Oriente appaiono sempre più vuoti di contenuti. Oggi non si capisce più quale sia l'accezione di democrazia alla quale l'amministrazione Bush intende riferirsi. Per questa ragione gli Usa stanno perdendo di credibilità in Medio Oriente e appaiono sempre meno idonei a ricoprire il ruolo di mediatore nel contenzioso israelo-palestinese.


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