Referendum sulla Turchia, inammissibile e inopportuno
di Rudy Caparrini
28 dicembre 2004

Nel nostro paese la questione dell'avvio dei negoziati tra Turchia e Unione Europea (Ue) continua a far discutere. Alcune forze politiche chiedono di indire un referendum in proposito, basandosi sul fatto che altri paesi hanno annunciato che terranno una consultazione popolare in materia. A parte le valutazioni di natura politica, comunque essenziali per un argomento di simile portata, occorre spiegare all'opinione pubblica italiana che la pretesa di una consultazione popolare non è ammissibile sotto il profilo giuridico. Per dirla in parole spicciole, ciò che è stato deciso in altre nazioni non può essere invocato come modello da emulare nel nostro paese. Il diritto internazionale riserva a ogni Stato la facoltà di stabilire la procedura per la ratifica dei trattati internazionali. L'articolo 14 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, firmata nel 1969 ed entrata in vigore dal 27 gennaio 1980, stabilisce che la competenza a ratificare è disciplinata da ogni singolo Stato con proprie norme costituzionali. Il metodo del referendum è stato scelto da alcuni paesi (Austria, Francia e Danimarca) che ammettono nelle rispettive leggi fondamentali tale ipotesi. La nostra Costituzione presenta disposizioni differenti in materia. L'articolo 87, attribuisce al presidente della Repubblica la competenza a ratificare i trattati internazionali, previa autorizzazione del Parlamento con apposita legge, come decreta l'articolo 80.

La stessa Costituzione all'articolo 75 nega espressamente che si possa indire un referendum per leggi che autorizzano la ratifica di trattati internazionali. La procedura della consultazione popolare non è quindi applicabile in Italia. Per indire un referendum sull'entrata della Turchia nella Ue si dovrebbe modificare la Costituzione. Ipotesi non fattibile, vista la procedura complessa prevista per emendare la nostra legge fondamentale. L'idea di una consultazione popolare sulla questione della Turchia ci sembra inoltre assai poco opportuna sotto il profilo politico e diplomatico. Perché indire un referendum per l'ingresso della Turchia e non - ad esempio - per Romania, Bulgaria, Slovenia, Croazia, Lettonia, Estonia? Vogliamo forse creare adesioni di serie A e di serie B, per motivi puramente discrezionali? Gli argomenti sostenuti dalla schiera dei turco-scettici (per non dire turcofobi) non sembrano poggiare su basi solide. Se alla Turchia si contestano le violazioni dei diritti umani e delle minoranze, dovremmo assumere atteggiamento analogo con alcuni Stati già ammessi o in via di ammissione. La Slovenia, tanto per citare un argomento che ci tocca da vicino, non è stata proprio un grande esempio di tutela della minoranza italiana.

Come mai nessuno ha avanzato obiezioni quando Lubiana è entrata nella Ue? La Croazia stessa, secondo quanto viene riferito da autorevoli osservatori internazionali, non è stata proprio tenera con le altre etnie. Eppure Zagabria entrerà nell'Unione nel 2007, pur avendo presentato da poco tempo la richiesta. Ci pare corretto ricordare che la Turchia presenta un grado di omogeneità con la storia contemporanea europea senza dubbio superiore a quello proprio dei molti Stati dell'ex blocco sovietico. Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, repubbliche baltiche sono forse più legate ai valori della tradizione europea della Turchia? Chi ha contribuito maggiormente a difendere l'assetto creato, nel 1957, dai sei Stati fondatori della Cee? Di sicuro di più Ankara che molti altri paesi ora membri della grande famiglia europea. Sembra, quindi, che la pretesa di indire un referendum sull'ingresso della Turchia in Europa sia da respingere per due ordini di motivi: inammissibile sotto il profilo giuridico e inopportuno dal punto di vista politico.


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