L'Islam e le donne, fra retorica e ipocrisia
di Rudy Caparrini
21 marzo 2007

E' un luogo comune affermare che nelle società musulmane la sottomissione del gentil sesso è un concetto consolidato nel corso dei secoli. L'affermazione può essere smentita ripensando a degli esempi reali che la storia ci ha tramandato, alcuni risalenti ad epoche lontane altri relativi a vicende piuttosto recenti. Fra i musulmani della prima ora, coloro che per primi diedero fiducia al profeta Maometto, spiccavano due figure femminili: la moglie Aisha e la figlia Fatima, andata in sposa ad Alì. Ciò dimostra che l'Islam non nasce assolutamente come religione discriminante in base ai sessi. Il Corano stesso non effettua distinzioni, ricordando che la rivelazione è indirizzata alla stessa maniera a musulmani e musulmane. Citando invece fatti storici contemporanei, negli anni '90 del Secolo XX in due grandi paesi islamici (Turchia e Pakistan) due donne hanno ricoperto la carica di primo ministro: Tançu Ciller in Turchia e Benazhir Bhutto in Pakistan. Ciò dimostra, quindi, che l'Islam non è così opprimente nei confronti del gentil sesso come sovente viene detto (basterebbe pensare che in Italia e Spagna, per citare due esempi, non si sono ancora avute donne premier). Casi come quelli di Aisha, Fatima, Benazir Bhutto e Tançu Ciller dovrebbero indurre a riflessioni serie e articolate.

Rileggendo con attenzione la storia plurisecolare di questa grande civiltà, si può notare che l'Islam non nasce come religione discriminante in base ai sessi. La conferma di questa asserzione ci viene fornita da una persona che certo non può essere accusata di essere fautrice del fondamentalismo islamico: l'iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003. In un'intervista pubblicata sul Corriere della Sera del 26 gennaio 2004 la Ebadi, musulmana convinta e praticante oltre che personaggio simbolo per le sue battaglie in tema di diritti umani, ha affermato che la distinzione dei diritti tra i due sessi "non è sancita nelle fonti primarie, bensì in una prassi maturata successivamente che ha visto il sesso maschile mutare certe leggi". Solo con l'avvento del wahabismo, l'ideologia purista predicata dal teologo Wahab nel Secolo XVIII, fu sancita la sottomissione della donna. Interpretandolo coi tempi moderni, furono imposte molte discriminazioni: divieto di lavorare, di guidare la macchina, obbligo di indossare vestiti che la coprano fino alla caviglia.

Questa è una vera distorsione della religione islamica come professata da Maometto. Al riguardo si deve ricordare che il wahabismo non è mai divenuto ideologia maggioritaria nell'Islam, essendo religione di stato solo in Arabia Saudita. Proprio in questo paese, uno dei più sicuri alleati dell'Occidente, i precetti di Wahab trovano applicazione ancora oggi e le violazioni dei diritti della donna sono evidenti. Al governo saudita tutto è stato concesso, senza pretendere niente in cambio quanto a democrazia e libertà. Quando si parla di soppressione dei diritti delle donne nel mondo musulmano, gli abitanti dei paesi cosiddetti civili ed evoluti, dovrebbero recitare il mea culpa giacché, per ragioni politiche, troppo spesso è stato chiuso un occhio su violazioni palesi avvenute in Stati amici.


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