Siria, timori di guerra e speranze di riforma
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 25 ottobre 2005

Durante la scorsa settimana si sono avute notizie di natura contraddittoria a proposito della Siria. Accanto alle accuse formulate dalla comunità internazionale, vi sono stati altri fatti che potrebbero far credere che il regime del Bashar Assad, pur se lentamente, stia muovendosi nella direzione sperata.

Mercoledì 19 ottobre, intervenendo di fronte alla Commissione Esteri del Senato degli Usa, il segretario di Stato Condoleeza Rice ha ribadito che la tensione tra Washington e Damasco è tuttora altissima. Pur ribadendo l’intenzione di agire attraverso mezzi diplomatici, la numero uno della diplomazia americana ha fatto sapere che l’amministrazione Bush non esclude la possibilità di un intervento militare contro Damasco.

Le dichiarazioni del segretario di Stato sono state seguite due giorni dopo, il 21 ottobre, dalla presentazione del rapporto della commissione Onu incaricata di indagare sull’omicidio del primo ministro libanese Rafik Hariri, assassinato il 14 febbraio scorso a Beirut. In base alla relazione presentata dal capo degli ispettori Onu, il procuratore tedesco Detlev Mehlis, appare evidente la responsabilità di Damasco e di alcuni esponenti dell’attuale governo del Libano, strettamente legati al governo di Bashar Assad, che pure afferma l’estraneità del suo esecutivo.

Le dichiarazioni della Rice non hanno destato particolare sorpresa. Che la Siria sia nell’occhio del ciclone è cosa risaputa da tempo. C’è chi sostiene che già da alcuni mesi uomini dei reparti speciali americani stiano agendo in territorio siriano. Secondo un articolo apparso lo scorso 14 ottobre sul New York Times, a firma di James Rigen e David Ranger, lungo il confine tra Siria e Iraq sarebbero già avvenuti molti scontri a fuoco, che hanno causato parecchie vittime sia statunitensi sia siriane.

Da oltre due anni una parte dei media internazionali sostiene che ben presto toccherà alla Siria fronteggiare un attacco armato. Parrebbe quindi scontato che, nel volgere di pochi mesi, Damasco possa divenire teatro di guerra. Vi sono, tuttavia, altri elementi rimarchevoli, capaci di far pensare che la situazione potrebbe prendere una direzione differente. Accanto alle due notizie di tipo allarmistico, infatti, ve ne sono un paio che inducono alla speranza.

Il regime del Ba’ath, che governa ininterrottamente dal 1963, potrebbe avere compreso che è giunto il momento di varare riforme sostanziali. Un passo avanti è stato compiuto domenica 16 ottobre, quando è stata annunciata la nascita di un blocco di opposizione, composto da una dozzina di partiti di varia estrazione (liberali, nazionalisti, socialisti) che hanno sottoscritto un documento denominato “Dichiarazione di Damasco”. Si tratta, in sostanza, di una petizione nella quale si chiede a Bashar e al Ba’ath di approvare una nuova costituzione, che possa legalizzare il pluralismo politico e garantire le libertà fondamentali.

Accanto alla evoluzione politica interna alla Siria, la settimana scorsa ha fornito una notizia di valore significativo in tema di economia. Secondo quanto scrive “Gulf Daily News”, autorevole quotidiano con sede a Dubai, la compagnia Emaar Properties, un gigante del settore immobiliare, ha in programma investimenti per circa 4,8 miliardi di dollari in Siria. Il progetto, che dovrebbe essere completato nell’arco di otto anni, prevede la realizzazione di strutture commerciali e turistiche in un’area di oltre 50 milioni di piedi quadrati. Il piano della Emaar, al pari di altri progetti presentati da compagnie straniere (fra cui la Aref Investment del Kuwait), sarebbe già stato approvato dal consiglio superiore siriano per gli investimenti.

Le notizie relative a piani di investimento da parte di gruppi stranieri sono degne della massima attenzione. Ciò fa pensare che tali grandi compagnie, che hanno senza dubbio contatti coi governi di tutto il mondo, hanno validi motivi per credere che una guerra in territorio siriano non sia imminente. Nessuna società al mondo sarebbe propensa a investire somme ingenti in un paese prossimo a essere invaso. Meno che mai compagnie appartenenti a Emirati Arabi Uniti e Kuwait, paesi arabi amici degli Usa, quindi capaci di ottenere informazioni sicure sia da Damasco sia da Washington.

Queste notizie potrebbero far credere che gli Usa non stiano preparando la guerra per rovesciare il regime di Bashar. Memore di quanto avvenuto in Iraq, dove la caduta di Saddam ha creato una situazione caotica, Washington potrebbe avere compreso che non vale la pena di intraprendere una guerra se non si è ancora individuato chi potrebbe sostituire l’attuale governo di Damasco. In questo momento Bashar e i gerarchi del Ba’ath, pur con tutti i loro limiti, rappresentano la migliore soluzione a disposizione, giacché potrebbero realmente avviare la Siria verso le riforme.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


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