Domenica 12 marzo, sul quotidiano "La Repubblica" a firma di Stefano Malatesta, è stato pubblicato un articolo dal titolo "Salonicco: i fantasmi della capitale meticcia". Di tale pezzo ci sentiamo di condividere in pieno solo uno dei molti concetti enunciati dall'autore: il grande contributo fornito dagli ebrei allo sviluppo di questa città nel corso della storia. Ci troviamo, invece, in netto disaccordo per le opinioni espresse riguardo a certe vicende che trattano di aspetti fondamentali della storia contemporanea della Grecia. Desideriamo esprimere le mie osservazioni sulle seguenti questioni: l'affermazione che i greci fossero giunti a Salonicco "solo nel 1912 sull'onda di un nazionalismo fanatico che li porterà al disastro"; le responsabilità dei greci di Salonicco nello sterminio della comunità ebraica locale; la catastrofe dell'Asia Minore e le sue pesanti conseguenze sulla nazione greca. E' basilare ricordare che le popolazioni elleniche vivono a Salonicco da svariati secoli. Chi non ricorda le famose "Lettere di San Paolo ai Tessalonicesi"? Questi tessalonicesi altri non erano che i discendenti degli antichi greci. A differenza di Atene, la cui valenza fu riscoperta solo nel secolo XIX dopo la rinascita dello stato greco sovrano e indipendente, Salonicco ha sempre rivestito valore speciale per il popolo ellenico in passato.
Ai tempi dell'Impero Bizantino, Salonicco era una città di primo piano, seconda per importanza solo alla capitale Costantinopoli. In tali epoche, tantissimi sono stati i greci di Salonicco che hanno lasciato un segno indelebile nella storia. Per tutti basterebbe ricordare i santi Cirillo e Metodio, nativi di Salonicco. Gli ellenici hanno continuato a vivere nell'antica Tessalonica anche dopo l'occupazione ottomana, avvenuta nella prima metà del secolo XV. I greci sono, quindi, arrivati a Salonicco ben prima dl 1912. Quanto al "nazionalismo fanatico" dei primi decenni del secolo XX, che indusse gli ellenici alla conquista della città nel 1912, l'accusa pare sproporzionata. In quegli anni tutte la nazionalità europee, oppresse per decenni dai grandi Imperi, stavano lottando per conquistare l'indipendenza e ampliare i loro confini. Nel caso della Grecia, a differenza di altre entità, la lotta fu condotta solo in regioni a maggioranza ellenica. Se sosteniamo che Salonicco fu occupata sull'onda di un nazionalismo esasperato, lo stesso potrebbe valere anche per molti altri stati: l'Italia nel caso di Trento e Trieste; la Cecoslovacchia che sorse sulle macerie dell'Impero Asburgico; la Polonia che si formò grazie ai territori tolti dagli imperi crollati. Nessuno ha mai parlato di nazionalismo fanatico in questi casi. Discorso analogo deve essere fatto per Salonicco, tornata alla madrepatria Grecia dopo secoli di occupazione Ottomana.
Parecchio discutibili sembrano le accuse di collaborazionismo, rivolte ai greci di Salonicco, per la deportazione degli ebrei. La Grecia, che era occupata dalle truppe nazifasciste, non aveva più un suo governo e quindi le decisioni non possono essere imputate ad Atene. Senza dubbio vi saranno stati casi singoli di collaborazionismo, come purtroppo è accaduto in tutti i paesi caduti sotto il dominio di Hitler. Questo non autorizza a lanciare strali contro l'intera popolazione ellenica, protagonista di molte azioni di resistenza contro le truppe nazifasciste. Si può tracciare un parallelo tra Praga e Salonicco, due città di grandi tradizioni ebraiche che videro le comunità israelitiche annientata dalla follia nazista. Lo sterminio degli ebrei di Praga e Salonicco non è da imputare alla popolazione locale di queste due città, che fu casomai vittima della barbarie nazista. Quanto alla catastrofica avventura ellenica in Asia Minore, con l'occupazione della zona di Smirne nel periodo 1919-1922, possiamo condividere il concetto di base e constatare che la Megàli Idèa (Grande Idea) fu un errore politico di grande portata. Il governo di Atene compì il passo più lungo della gamba, avanzando una pretesa superiore alle sue capacità militari e politiche.
Non troviamo, invece, corretto gettare ombre sulla figura di Elefherios Venizelos, l'uomo politico che più di tutti ha contribuito alla nascita della Grecia. Pur ammettendo che egli possa avere compiuto alcuni errori nella sua lunga carriera politica, Venizelos merita comunque il rispetto che si deve a un grande statista, che ha goduto di enorme stima a livello internazionale. Venizelos aveva bene in mente la forza che l'esercito turco aveva dimostrato durante la Prima Guerra Mondiale, soprattutto in occasione della battaglia dei Dardanelli. Cosciente della capacità militare dei turchi, Venizelos aveva agito per vie diplomatiche, tessendo una serie di alleanze con le maggiori potenze europee. Venizelos, dotato di grande realismo politico, aveva cercato di frenare le frange estreme del nazionalismo, che invocavano appunto la Megàli Idéa: la Grecia "dei cinque mari e dei due continenti" (si veda al riguardo l'ottimo testo Storia della Grecia Moderna di Richard Clogg, Ed. Bompiani). Il primo ministro greco sosteneva che lo sbarco in Asia Minore poteva avvenire solo se avallato dalle grandi potenze vincitrici della guerra. Il desiderio dei greci di annettersi Smirne, pur con tutti i torti che possiamo imputare a tale idea, non era dissimile dalle pretese che ogni stato dell'epoca avanzava nei confronti dei territori appartenuti ai primi Imperi crollati in seguito alla Grande Guerra (Germanico, Asburgico, Ottomano).
Il torto della Grecia fu quello di rimanere da sola, abbandonata dalle grandi potenze che avevano in speso parole con Atene durante la guerra. Con il sostegno di Gran Bretagna e Francia, e magari anche dell'Italia, la Grecia avrebbe potuto tenere testa alla Turchia di Kemal. In una circostanza analoga, quella relativa all'ex vilayet di Mosul (assegnato al regno d'Iraq), le potenze europee furono capaci di imporre la loro volontà a Kemal. Come Smirne, anche Mosul era un territorio irredento rivendicato dalla Repubblica di Turchia. Per Mosul, a differenza di Smirne, la Gran Bretagna si dimostrò pronta a intervenire, dal punto di vista diplomatico e militare. Kemal fu costretto a frenare le sue ambizioni, rinunciando per sempre a Mosul. La questione della città irachena rivela che il progetto greco di annettersi Smirne non era poi così folle come si poteva pensare. La disfatta di Smirne fu una grande tragedia per la Grecia, che ne pagò le conseguenze per decenni. Soprattutto, la catastrofe dell'Asia Minore stravolse per la sempre la vita dei greci che abitavano a Smirne da secoli.
La battaglia finale, che ebbe luogo il 9 settembre 1922, si trasformò in un autentico eccidio con oltre 30mila. L'orrore è ben testimoniato nelle memorie di Henry Morghentau, console degli Stati Uniti nella città. Circa 1,5 milioni di persone (non 2-300mila come indicato nell'articolo) furono costrette a lasciare le loro case in modo immediato, perdendo tutti i loro averi. Un esodo dal grande impatto sociale, di gran lunga più pesante di quello dei turchi (poco meno di 400mila) che migrarono Salonicco e altre regioni per stabilirsi in Turchia. Quanto scritto sopra non intende essere una mera celebrazione del popolo ellenico, che non è certo infallibile né esente da pecche. Certe precisazioni si rendevano tuttavia necessarie. Perché i greci si possono accusare di varie cose, ma non di avere responsabilità precise in un genocidio orrendo, che ancora oggi suscita vergogna in tutti i popoli civili. Neppure si può esagerare nelle accuse contro gli ellenici per la vicenda di Smirne del 1922. Lo sbarco in Asia Minore può essere stato uno sbaglio macroscopico, ipotesi che possiamo condividere, ma è pur vero che sono stati proprio i greci a pagare il prezzo più alto di quell'errore. L'esodo degli ellenici da Smirne è stato ben più pesante di quello dei turchi da Salonicco.
La Grecia contemporanea (1974-2006) di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera ed. Polistampa, 2007 |
Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005 di Rudy Caparrini prefazione di Franco Cardini ed. Masso delle Fate, 2006 |