I due binari della politica estera italiana
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 12 febbraio 2007

La lettera dei sei ambasciatori dei paesi Nato (Australia, Canada, Olanda, Romania, Regno Unito, Stati Uniti) che hanno chiesto la governo italiano di mantenere le truppe in Afghanistan ha fatto molto rumore. In particolare, la presa di posizione pubblica, per la forma più ancora che per i contenuti, ha suscitato la reazione decisa del ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Il capo della diplomazia italiana ha replicato in modo stizzito, accusando i diplomatici e i loro governi di ingerenza negli affari italiani. La polemica pare essere stata chiarita solo dopo l’incontro di D’Alema con Ronald Spogli, ambasciatore americano a Roma. Ma i dubbi restano.

La questione merita di essere analizzata in dettaglio poiché rivela un aspetto che in politica estera vale più che in altri ambiti: quello della percezione personale di un uomo politico rispetto a certe questioni. Appare, infatti palese che la reazione del ministro D’Alema sia spiegabile più come un fatto soggettivo che per una reale polemica di tipo politico.

La lettera degli ambasciatori non può essere considerata come ingerenza negli affari interni di un altro Stato, né per i contenuti del testo né per la forma scelta. Il principio della non ingerenza, che rappresenta uno dei cardini della sovranità nazionale, può essere invocato per certi ambiti particolari relativi alla giurisdizione interna: giustizia, economia, ordinamento costituzionale. La politica estera, per sua stessa definizione del nome, è qualcosa che riguarda i rapporti fra Stati e quindi sarebbe paradossale pretendere che nessun governo straniero possa esprimersi su materie che riguardano anche i loro interessi nazionali. Si sarebbe potuto parlare di ingerenza se gli ambasciatori si fossero pronunciati, ad esempio, chiedendo in che modo la missione in Afghanistan dovesse essere rifinzanziata. Oppure, chiedendo che la scelta fosse ratificata da una maggioranza ampia in seno al governo.

Non sembra che gli ambasciatori abbiano ecceduto i limiti della loro competenza, giacché la politica estera compete a un diplomatico, definito - non a caso – ‘plenipotenziario’ per i rapporti presso un governo. Un ambasciatore, per sua stessa definizione del rango, appartiene al ministero degli Esteri del suo Paese e quindi ha piena facoltà di esprimersi su questa materia.

Neppure sembra sostenibile l’obiezione che concerne la forma scelta. La diplomazia pubblica è divenuta un modo sempre più diffuso di gestire le relazioni internazionali. Oggi le tecniche di comunicazione sono cambiate e si deve accettare che pure le feluche si possano adeguare. Non a caso, il dipartimento di Stato americano ha creato un apposita sezione denominata proprio Public Diplomacy. Quindi non sembra neppure troppo deplorevole il modo scelto.

Il nervosismo palesato dal ministro D’Alema può essere spiegato solo se teniamo in debita considerazione la pressione cui è sottoposto il responsabile della Farnesina. La politica estera rappresenta il nodo più complicato in assoluto per il governo Prodi, che spesso vede la sua eterogenea maggioranza in disaccordo sulle questioni internazionali. L’esecutivo del centrosinistra, almeno fino ad oggi, pare dividersi sulla politica estera ancora di più che sull’economia o sui Pacs.

Le difficoltà di gestione degli affari esteri sono ben note allo stesso presidente del Consiglio, che non a caso pare avere adottato una sorta di doppio binario in politica estera, suddividendo i compiti fra lui stesso e D’Alema. Al momento, sembra che il premier si stia occupando di relazioni economiche, delegando al suo ministro (nonché vicepremier) la gestione della diplomazia sotto il profilo puramente politico.

Per portare esempi concreti, sembra che il presidente del Consiglio stia curando in prima persona i rapporti con la Ue e con il paesi del Mediterraneo, che si riferiscono infatti a questioni che vedono in primo piano l’economia. Un risultato concreto dell’operato del premier è rappresentato dall’accordo siglato fra Italia e Grecia per la costruzione di un gasdotto che collegherà la penisola ellenica con il nostro Paese, garantendo un approvvigionamento di gas naturale proveniente dall’Asia centrale e dalla Russia. Il premier, inoltre, si è fatto promotore di un’assunzione di responsabilità dell’Italia nel Mediterraneo, come dimostrato dal suo progetto di creare un fondo speciale per il Mare Nostrum. Identica considerazione si può fare per la visita in India, dove l’economia è al centro dei colloqui. Il Presidente si sta dedicando a questioni tecniche, relative soprattutto al conteso europeo o limitrofo, ovvero un’area geografica del mondo che il premier conosce bene.

Il vice presidente, invece, è incaricato di gestire gli affari esteri sotto il profilo puramente politico e diplomatico. Un lavoro che comporta scelte di indirizzo, volte a determinare la linea strategica che il governo italiano intende adottare nei confronti di una questione di rilievo internazionale. Non a caso finora D’Alema si è distinto per il suo impegno nelle vicende mediorientali (Libano e Palestina) e per la presenza delle truppe italiane in missioni di peace-keeping all’estero, Afghanistan in primis.

In virtù del ruolo a lui assegnato, D’Alema si trova spesso a negoziare con gli Usa, nemico storico della sinistra da decenni. L’amministrazione Bush è vista con sospetto da molte forze politiche che compongono la maggioranza. Di conseguenza, D’Alema si trova ad essere il ministro che più di tutti deve impegnarsi per soddisfare esigenze contrapposte. In seno alla maggioranza, il ministro degli Esteri è spesso criticato dalle frange più estremiste per le sue posizioni concilianti nei confronti dell’amministrazione Bush, così accondiscendenti da ricordare la tanto criticata subalternità che ha caratterizzato le relazioni fra Roma e Washington durante i cinque anni di governo di Berlusconi.

La questione della base di Vicenza ha mostrato una posizione di grande remissività, che ha deluso coloro che si attendevano da questo esecutivo un approccio diverso nei confronti di Washington. In effetti, chi ha votato Prodi lo può avere fatto anche perché insoddisfatto della politica estera di Berlusconi. Se la linea di questo esecutivo deve essere la stessa, allora il governo Prodi rischia una doppia critica poiché si è esposto e non ha mantenuto le promesse. D’Alema è cosciente che il suo operato è decisivo per la tenuta del governo. Pertanto, il ministro degli Esteri ha avvertito la lettera degli ambasciatori come un’indebita ingerenza verso il suo operato.

Una reazione così determinata potrebbe spiegarsi anche con l’obiettivo di porre tutte le forze di governo di fronte alle loro responsabilità. Il recente vertice di maggioranza, dedicato interamente alla politica estera, ha imposto ai leader dei vari partiti di prendere posizioni chiare a sostegno della linea politica di cui D’Alema è la voce ufficiale. Da questo vertice, oltre che dal successivo colloquio fra il nostro ministro degli Esteri e l’ambasciatore Spogli, emerge pure un altro aspetto degno di nota: ora anche Prodi dovrà impegnarsi a sostegno di D’Alema nella gestione delle questioni prettamente politiche. Il primo banco di prova ci sarà il 17 febbraio con la manifestazione a Vicenza contro l’ampliamento della base americana. Una nuova situazione scomoda, che D’Alema potrà superare solo col pieno appoggio di Prodi.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
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