L’Autorità nazionale palestinese (Anp) pare essere a un passo da una crisi lacerante, un’autentica guerra civile. L’annuncio del presidente palestinese Mahmoud Abbas (meglio noto come Abu Mazen) di convocare le elezioni anticipate, sia per presidenza sia per il Consiglio legislativo, sono state vista come un tentativo di golpe di Hamas, il movimento islamico uscito vincitore dalla consultazione del gennaio 2006 che ha formato un governo guidato da Ismail Haniyeh.
Le tensioni politiche interne all’Anp sono ormai vecchie di molti anni. Già negli ultimi anni dell’epoca di Yasser Arafat, deceduto nel novembre 2004, Hamas si stava imponendo come alternativa al governo dello storico leader palestinese e al suo governo, sempre più corrotto e lontano dalle esigenze del suo popolo. Dopo morte di Arafat, le rivalità sono emerse in modo ancora più evidente poiché Abu Mazen, che pure politicamente possiede doti superiori ad Arafat, non ne possiede il carisma e la determinazione necessarie per imporsi in un ambiente nel quale l’autoritarismo è un elemento essenziale per governare.
Al momento non appare probabile che la crisi possa essere risolta all’interno della stessa Anp. Un contenzioso in politica può trovare soluzione in due modi antitetici: mediante un accordo fra i contendenti oppure con la prevalenza netta di una parte sull’altra. Entrambe le ipotesi appaiono però impossibili da realizzarsi a breve termine. Un’intesa fra Fatah e Hamas è improbabile. Allo stesso tempo, tuttavia, nessuno due contendenti pare in grado di prevalere per sottomettere l’altro in modo netto.
La crisi può essere sbloccata solo con l’intervento di un soggetto esterno. Tuttavia, la classica soluzione di un mediatore istituzionale non sembra auspicabile. La questione palestinese è una tematica troppo delicata e tutti i possibili negoziatori avrebbero molto da perdere e poco da guadagnare. L’Onu non ha forza né autorità alcuna per imporre alcun modus vivendi. Poco credito merita anche la Ue, che non riesce ad avere una sua politica estera comune. Bruxelles, inoltre, dopo l’allargamento del 2004, è sempre più volta a guardare verso l’Europa orientale e dedica meno risorse diplomatiche ed economiche al Mediterraneo e al Medio Oriente.
Ancora più complessa si presenta la soluzione interna alla Lega Araba, poiché ciascun membro si esporrebbe al rischio di parteggiare per l’una o per l’altra parte, con conseguenti possibilità di vedersi invisa a una parte della opinione pubblica in casa propria. Del tutto improbabile è l’intervento nel nome della solidarietà islamica. I molti appelli lanciati da Al Qaeda inducono tutti a tenersi alla larga, onde evitare il rischio di finire nella lista degli Stati sponsor del terrorismo.
Per paradosso, il solo Stato che può dare un contributo a questa crisi è Israele, il nemico storico del popolo palestinese. Per vari motivi il premier israeliano Ehud Olmert è il solo uomo politico che potrebbe risolvere la crisi interna all’Autorità nazionale palestinese. Il capo del governo di Gerusalemme ha la possibilità di assolvere a questo ruolo, che all’apparenza pare a lui estraneo, compiendo alcune mosse proprie di un politico di alto profilo.
In primo luogo Olmert può contribuire alla stabilizzazione del contesto politico palestinese liberando Marwan Barghouti, il leader del movimento Tanzim (corrente di notevole peso in seno a Fatah), che da cinque anni è detenuto nelle prigioni israeliane. Quest’ultimo potrebbe essere il personaggio ideale per arginare l’ascesa di Hamas, giacché appare come l’eroe della causa palestinese, colui che paga in prima persona per le sue battaglie coraggiose contro la potenza occupante. Barghouti appare ai palestinesi tutto l’opposto di quella classe dirigente corrotta espressa fino ad oggi da Fatah, quella nomenklatura affiliata al clan di Arafat che si è arricchita a dismisura con la politica, sottraendo alle masse i finanziamenti che giungevano da ogni parte del mondo (crf, ‘Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il fattore Barghouti’, Pagine di Difesa, 14.01.2005).
Un’altra carta che Olmert dovrà giocare bene sarà quella di una certa apertura ad Hamas. Il premier israeliano, infatti, può mettere in crisi il governo di Haniyeh mostrandosi incline a riconoscerne la legittimità. In tal modo, Olmert scaricherebbe su Hamas la responsabilità di rifiutare a oltranza ogni forma di dialogo, esponendo l’esecutivo palestinese a severe critiche che lo isolerebbero ancora di più a livello internazionale. Di fronte a un’apertura da parte di Gerusalemme, Hamas potrebbe essere indotta a un’evoluzione in senso moderato scegliendo l’opzione politica rispetto alla scelta della guerra a oltranza, contro Israele e contro Fatah, predicata dagli estremisti. Naturale conseguenza di ciò sarebbe un clima meno aspro tra Fatah e Hamas. La rivalità fra i due schieramenti, che oggi consiste in una vera guerra tra cosche, si trasformerebbe dal punto di vista qualitativo, divenendo una competizione politica fra due partiti che mirano a governare la cosa pubblica.
Olmert può contribuire a evitare che la situazione nell’Anp possa degenerare. Il premier israeliano possiede le chiavi giuste per favorire una normalizzazione del contesto politico interno all’Anp. Il problema è di capire quali siano le reali intenzioni del leader israeliano. Non si comprende ancora se Gerusalemme abbia o meno interesse all’Anp oppure se invece abbia più interesse a inasprire la rivalità fra Fatah e Hamas. Olmert dovrà chiarire entro poche settimane quali sono le sue intenzioni.
La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006