Palestina, convivenza ormai impossibile
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 10 marzo 2008

L’attentato compiuto nel seminario rabbinico di Merkaz Harav Yeshiva di Gerusalemme, avvenuto il 6 marzo scorso, ha suscitato grande sgomento. Molto è già stato detto e scritto su tale fatto di sangue. Il fatto che sia stato colpito un luogo di così alto valore simbolico inciderà in maniera ancora più pesante sul già provato processo negoziale israelo-palestinese, ormai bloccato fin dal luglio 2000.

L’eccidio del seminario rabbinico, che segue di poco la pesantissima azione armata nella striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano, che ha causato circa cento morti, ci obbliga a trarre una riflessione drastica che conduce a un giudizio spietato ma purtroppo di natura realistica. L’elemento di maggiore risalto risiede nel fatto che l’azione terroristica è stata compiuta da un gruppo di “terroristi palestinesi anomali”, nel senso che essi, in realtà, sono cittadini (sudditi) israeliani a tutti gli effetti dal punto di vista giuridico ma assolutamente non integrati con lo Stato che esercita l’autorità su di loro.

A questo punto, si deve prendere atto che la convivenza fra israeliani e palestinesi è divenuta ormai impossibile. Avendo esaurito molte delle opzioni a disposizioni, viene spontaneo pensare la possibilità di tenere in piedi un equilibrio precario, per quanto sia doloroso rilevarlo, è di separare i due contendenti.

La tensione fra arabi ed ebrei per il controllo della Palestina è ormai un fatto consolidato dal punto di vista storico. La lotta lacerante fra le due etnie, infatti, trova le sue radici nei primi decenni del 900. Non è affatto vera l’asserzione, sostenuta dalla vulgata dominante, per cui fino al 1948 i due popoli hanno vissuto in pace nella stessa terra. Le tensioni fra i due gruppi erano già emerse ben prima.

Non ci proponiamo di indagare su chi debba essere considerato principale responsabile dell'inasprimento delle tensioni. Non cerchiamo neppure di stabilire quale sia sta la causa e quale l'effetto. È sufficiente prendere atto del dato di fatto storico e ricordare che già negli anni seguenti alla prima guerra mondiale sia gli arabi sia gli ebrei irrigidirono le loro posizioni. Ricordiamo il verificarsi di scontri durissimi fin dagli anni 20, che causarono vari morti in entrambi gli schieramenti. La situazione degenerò negli anni 30, sfociando nella durissima rivolta araba che si sviluppò negli anni 1936-39.

Già in tale epoca si venne a formare un clima di sospetto reciproco, che rese la convivenza sempre più complicata. La questione della Palestina era ormai emersa in tutta la sua gravità e l'equilibrio che aveva permesso la convivenza fra etnie si stava rompendo in modo irreparabile. Una testimonianza diretta di quanto il clima mutò ci è stata raccontata in modo dettagliato e obiettivo da Panagiotis Vatikiotis, il grande studioso di origine greca nato nel 1928 in Palestina.

Nella sua autobiografia (“Among Arabs and Jews. A personal experience”) Vatikiotis narra che in tali anni iniziarono a presentarsi problemi seri di coesistenza perfino in realtà cosmopolite come Haifa, dove egli viveva con la famiglia e che fino ad allora si caratterizzava per il fatto si respirava aria di tolleranza nel nome di una mentalità internazionale e aperta. Dopo i moti degli anni 30 stava accadendo ciò che nessuno aveva immaginato fino ad allora: l'amico del giorno precedente stava divenendo il nemico di oggi e di domani.

Arabi ed ebrei, quindi, mal si sopportavano già all’epoca. D’altronde l’Onu aveva compreso già nel 1947 che la migliore per la coesistenza era di formare due entità sovrane in Palestina. Questo era stato il motivo dì fondante del piano di spartizioni approvato con la risoluzione 181, approvata dall’Assemblea Generale il 29 novembre 1947, che aveva previsto la nascita di due Stati, uno per gli ebrei e uno per gli arabi. L’occasione perduta allora non sarà mai abbastanza rimpianta.

La situazione precaria creatasi fin dagli anni 30 non ha subito alcuna variazione di segno positivo nei decenni successivi. Al contrario, da quel momento le relazioni fra le due comunità si sono sempre deteriorate fino a raggiungere il famigerato punto di non ritorno. Da allora sono accaduti molti eventi che hanno interessato la Palestina, tutti di segno negativo per la ricerca di una qualunque forma di coesistenza in Terra Santa. Le varie guerre arabo-israeliane, da quella del 1948 fino alla seconda Intifada (tuttora in corso), hanno contribuito a scavare un solco sempre più grande fra i due popoli.

Pertanto, per la ricerca di un modus vivendi, è opportuno prendere adesso in considerazione anche le ipotesi meno gradite a tutti, ricorrendo alla misura più estrema: separare in modo netto i due popoli.

Sappiamo bene che i fautori del dialogo e della ’pace dei coraggiosi’ senza dubbio si opporrebbero a tale ipotesi di separazione, affermando che esiste tanta gente di buona volontà in entrambe le etnie, disposta a promuovere azioni per la coesistenza pacifica e lo sviluppo socio-economico della regione nell’interesse generale di tutti i suoi abitanti. Non si può negare che, in effetti, esistano realtà degne del massimo rispetto, associazioni e gruppi della società della società civile che veramente lavorano per costruire qualcosa di buono per un ideale nel quale credono in modo sincero.

Purtroppo, la politica e la diplomazia devono, invece, ragionare in maniera meno ideologica, ricercando una soluzione di possibile applicazione pratica. Attualmente, appare poco probabile, che israeliani e palestinesi possano abbattere a breve quel muro di diffidenza e sospetto reciproco che si è venuto a creare in tanti decenni di lotte sanguinose.

Erigere muri (in senso materiale o astratto che sia) è sempre una sconfitta per il mondo civile. Tuttavia, è innegabile prendere atto di una situazione che si è deteriorata in modo pressoché insanabile. È evidente che palestinesi e israeliani non si amano, non si sono mai amati né mai si ameranno. La pace non sarà mai raggiunta, almeno per i prossimi decenni, nel segno di una conciliazione ideologica che porti i due popoli a convergere su posizioni condivise.

Il miglior risultato ottenibile è di poter almeno arrivare a una difficile ‘sopportazione reciproca’, che eviti lo stato di guerra permanente in cui si sta trovando la Palestina ormai da troppi decenni. Il solo modo per giungere a questo obiettivo è di separare i due contendenti nel solo modo possibile, secondo la formula dei due Stati sovrani ed etnicamente omogenei. Questa appare sempre più la sola via percorribile per il giungere al tanto auspicato ‘final status’ idoneo a garantire un minimo di equilibrio fra israeliani e palestinesi.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


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