Da oltre tre anni, esattamente dalla definitiva caduta del regime dei Talebani in Afghanistan, la sorte di Osama bin Laden è avvolta nel mistero. In molti si sono pronunciati su dove potrebbe trovarsi e su chi lo sta proteggendo, adducendo argomenti più o meno credibili. La scorsa settimana alcuni organi di stampa, fra cui l'autorevole quotidiano israeliano Ha'aretz, hanno formulato una diversa ipotesi, finora poco considerata ma forse più probabile: lo sceicco del terrore potrebbe essere morto già da tempo.
L'indiscrezione merita la massima attenzione. La possibilità che il capo di Al-Qaeda sia realmente deceduto si può ricavare sulla base di ragionamenti di vario genere, fondati sia sul comune buon senso sia su certi elementi connessi alla conoscenza della storia e della politica del Medio Oriente.
Il primo aspetto da considerare concerne lo stato di salute dell'uomo più ricercato del mondo. Fonti sicure hanno più volte affermato che bin Laden, che soffre di gravi problemi renali, è costretto a sottoporsi alla dialisi ogni due giorni. Tale trattamento sanitario, piuttosto conosciuto in tutto il mondo, limita di molto la capacità di spostamento del paziente giacché, oltre che debilitarne il fisico, impone la necessità di avere sempre a disposizione personale specializzato, oltre che un macchinario pesante e sofisticato. Fuggire in tali condizioni diventa quasi impossibile quando si hanno addosso i servizi segreti di tutto il mondo.
Un'altra riflessione, che non necessita di competenze particolari, la si deduce osservando nelle ultime cassette video i movimenti delle braccia e delle mani del capo di Al-Qaeda. I video disponibili prima dell'11 settembre 2001 mostrano un Bin Laden che, mentre spara o compie altre azioni, usa solo la mano sinistra. Non convince quindi che, nelle ultime registrazioni, un mancino naturale come Osama si serva della mano destra mentre gesticola e tiene il microfono.
Spostando l'analisi su elementi di natura politica, appare chiaro che il tono dell'ultimo video, andato in onda poco prima delle elezioni americane, è assai poco confacente allo stile di bin Laden. L'appello rivolto al popolo statunitense con uno tono conciliante assai sospetto non pare rientrare nello stile di un personaggio che in precedenza usava rivolgersi sempre e solo alle masse musulmane esortando il popolo al Jihad.
Gli ultimi interventi del leader di Al-Qaeda non convincono neppure per ciò che concerne gli argomenti trattati nei proclami, poiché mancano quasi del tutto di attacchi all'Arabia Saudita. Sappiamo bene, invece, che la priorità del programma di Al-Qaeda è quella di rovesciare il governo "corrotto e traditore" di Riyad, colpevole di avere ospitato truppe straniere sul suo territorio, profanando così il suolo sacro per tutti i musulmani. Ciò è ottimamente spiegato in un articolo di Bernard Lewis, pubblicato su Foreign Affairs di novembre-dicembre 1998, che analizza nei dettagli la "Dichiarazione del Fronte Islamico per il jihad contro ebrei e crociati", autentico manifesto politico di bin Laden pubblicato su Al-Qud Al-Arabi, un giornale arabo stampato a Londra, in data 23 febbraio 1998.
Alcuni commentatori hanno detto e scritto che adesso Osama si sta defilando, lasciando a Zarqawi la leadership operativa dell'organizzazione. Pare poco probabile credere che bin Laden intenda delegare la guida della sua creatura a qualcun altro. Non è nello stile dei leader mediorientali, infatti, rinunciare a una parte della loro autorità per favorire l'ascesa di un successore. Nel mondo arabo e musulmano il capo accentra tutto il potere nelle sue mani, circondandosi di persone fedeli ma non abbastanza influenti al punto di convincere lo sceicco a cambiare opinione.
La storia contemporanea del Medio Oriente si identifica con quella dei capi carismatici che hanno gestito il potere in modo assoluto. A differenza di quanto avviene in Europa o negli Usa, negli Stati mediorientali il leader lascia ben poco spazio ai suoi collaboratori. Il capo carismatico è il solo referente della nazione, come dimostrano i casi più noti dell'ultimo secolo: Kemal Ataturk, Abdullah di Giordania, Nasser, Assad, Saddam, Khomeini.
Colui che è apparso negli ultimi video non sembra proprio essere l'uomo che da alcuni anni tiene in scacco i servizi segreti di tutto il mondo. Non si capisce perché l'opinione pubblica occidentale, sempre pronta a evocare l'idea di un sosia quando si è trattato di Saddam Hussein, non abbia mai considerato tale possibilità nel caso di bin Laden.
Al momento, è conveniente far credere che Osama è vivo. Si tratta di una carta importante per gli Usa, che hanno così ancora un nemico da combattere e catturare, un valido motivo per tenere alta la guardia nella lotta contro il terrorismo su scala mondiale. Il mistero sulla sorte di Osama bin Laden consente agli esperti di far credere che siano opera sua stragi di grandi proporzioni, quali Madrid e Beslan, nelle quali il coinvolgimento di Al-Qaeda è tutto da provare.
Se davvero si fosse scoperto che bin Laden è morto in Afghanistan nell'inverno 2001, come appare probabile, la guerra in Iraq non sarebbe stata accettabile neppure da parte dei più stretti alleati di George W. Bush. Per tali ragioni si continuano a ignorare dettagli fondamentali, capaci di far pensare anche a un profano che bin Laden potrebbe essere morto già da parecchio tempo.
La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006