Medio Oriente, rischi e opportunità del fronte Mediterraneo
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 27 maggio 2008

Da un po’ di tempo, le attenzioni degli addetti ai lavori in materia di politica internazionale, sia come cancellerie sia per ciò che concerne i media, si erano concentrate sul Golfo Persico. Il tema cardine in materia di geopolitica in Medio Oriente era rappresentato dall’Iran e dal suo presunto avanzamento del programma nucleare per scopi militari. Il timore che Teheran sia prossima a dotarsi dell’arma atomica, nonostante la smentita giunta da parte della stessa Cia, ha imposto alle cancelliere di tutto il mondo di prestare attenzione alle minacce pronunciate in modo sistematico dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Ovviamente, non si può certo biasimare i responsabili delle grandi potenze di avere assegnato la priorità a un simile argomento, giacché l’attrito fra l’Iran e l’Occidente, Stati Uniti in primis, è senza dubbio un argomento di primaria importanza.

L’occhio rivolto verso l’Iran aveva fatto credere che il resto della regione versasse in una situazione un poco migliore. In queste ultime settimane, invece, gli osservatori internazionali hanno potuto constatare che il fronte di maggiori tensioni in Medio Oriente è adesso rappresentato dall’area geografica che si affaccia sul Mediterraneo Orientale. Di recente, molte situazioni già problematiche hanno conosciuto un ulteriore inasprimento. Un’analisi complessiva dei Paesi del Mediterraneo Orientale ci pone di fronte a realtà ad alto rischio.

Per ciò che concerne il Libano, è il caso di dire “niente di nuovo”. Nel Paese dei Cedri si sta di fatto consumando un nuovo capitolo di una guerra civile perpetua, iniziata nel 1970 e non ancora conclusa. Il Libano è stato per un lungo periodo senza presidente della Repubblica, con un governo debole e incapace di controllare il territorio. Pure l’esercito è diviso, come si è visto nel caso della mancata repressione di Hezbollah.

Il contenzioso israelo-palestinese sta vivendo una situazione statica nella sua drammaticità. Il fronte palestinese è diviso di fatto in due Stati, con Hamas che governa a Gaza mentre l’Olp di Abu Mazen controlla la Cisgiordania. Ciò rappresenta una complicazione ulteriore per una situazione già precaria. Israele, da parte sua, pare mantenere posizioni assai rigide. A breve termine, non è assolutamente pensabile che possano registrarsi evoluzioni di stampo positivo.

In grossa difficoltà è anche la Siria, alle prese con una situazione economica e sociale assai difficile. Il presidente Bashar Assad, nel quale si riponevano speranze per la modernizzazione del Paese, non sembra in grado di realizzare le riforme di cui la Siria avrebbe assoluta necessità per avviare un processo di sviluppo economico, politico e sociale.

A queste aree di crisi pressoché cronica, si deve adesso aggiungere una situazione di grave pericolo in cui versano anche l’Egitto e la Turchia. Nel Paese dei Faraoni la popolazione sta fronteggiando una gravissima crisi economica. L’inflazione è alta, su livelli superiori al 16%. Si stanno verificando scioperi e agitazioni in tutta la nazione. Le tensioni sociali sono alle stelle ed è probabile che siano prorogate le leggi d’emergenza, in vigore fin dal 1981.

Pure la Turchia vive una fase tormentata. Il partito del premier Erdogan Giustizia e Sviluppo (Akp) è sotto pressione perché accusato di guidare il Paese verso lo spettro della deriva islamica. La Corte Costituzionale lo ha di fatto dichiarato fuori legge e i militari sono pronti a intervenire nel caso venga minacciata la laicità, cardine della Repubblica fondata da Kemal Ataturk. Le tensioni latenti stanno ponendo a rischio la prospettiva di adesione all’Unione Europea.

Considerata la situazione dei singoli Paesi, il contesto appare alla stregua di una polveriera. Invece, per quanto possa apparire paradossale una simile considerazione, le difficoltà di Egitto e Turchia potrebbero fornire un aiuto importante sotto il profilo diplomatico. Quando uno Stato è in crisi sul fronte della politica interna, può accadere che si cerchi con maggiore impegno un successo a livello internazionale per alleviare le tensioni endogene. Tale asserzione, valida come regola generale, pare essere confermata osservando i movimenti diplomatici degli ultimi giorni. Nella fattispecie mediorientale, sia Cairo sia Ankara possono avere un notevole interesse a mediare in due delle situazioni di contenzioso più difficile della regione. L’Egitto sta impegnandosi in modo importante per la ripresa del dialogo fra Israele e le due fazioni palestinesi in lotta. La Turchia sta compiendo uno sforzo notevole per favorire la ripresa dei negoziati fra Israele e Siria.

I governi di Cairo e Ankara hanno entrambi delle buone ragioni per agire nelle vesti di mediatori in questi due fronti. Per l’Egitto, l’assunzione di responsabilità nella mediazione fra palestinesi e israeliani offre la possibilità di ribadire il suo ruolo di Paese leader nel mondo arabo. La riprova di avere mantenuta intatta una certa autorevolezza politica e diplomatica può consentire al governo egiziano di presentarsi come interlocutore autorevole per l’intera comunità internazionale, a dispetto della fase difficile che sta vivendo sotto il profilo economico e sociale. Per la Turchia, la capacità di riaprire il dialogo fra Israele e Siria è una carta da esibire agli occhi della Ue.

Agendo da protagonista, Ankara può riaffermare la sua valenza strategica nel Mediterraneo Orientale, inducendo i Paesi europei ‘turcoscettici’ del Vecchio Continente a rivedere il loro punto di vista riguardo alla prospettiva di Ankara. L’impegno diplomatico, più che mai se coronato da successo, permetterà a Egitto e Turchia di beneficiare di speciali aperture di credito da parte dei massimi attori a livello internazionale. Tradotta in parole semplici, ciò significherebbe che Ankara e Cairo potrebbero beneficiare di somme ingenti che le grandi potenze occidentali (Usa in primis) e le maggiori organizzazioni sovranazionali (Onu, Ue, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale) avrebbero interesse a stanziare come ‘compenso’ per un ruolo geopolitico cruciale per gli equilibri dell’area mediorientale.

Il fronte mediterraneo è il vero cardine per la stabilità del Medio Oriente. Nel Golfo Persico c’è il petrolio, ma il potere militare, culturale e geopolitico appartiene ai Paesi mediterranei. La stabilità dell’area del Mediterraneo è la chiave essenziale per gli equilibri dell’intera regione. Perciò, è auspicabile che la comunità internazionale si impegni a sostegno dei governi di Egitto e Turchia.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


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