Israele, la strategia elettorale di Ehud Olmert
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 15 marzo 2006

Il 14 marzo l’esercito israeliano ha compiuto un’azione militare di grande impatto assediando la prigione di Gerico, città sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il raid ha portato alla cattura di Ahmed Saadat, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e principale accusato per l’omicidio di Rehavan Zeevi, ministro del turismo d’Israele ucciso nel dicembre 2001 a Gerusalemme. L’azione delle forze speciali israeliane, compiuta per evitare che il governo palestinese di Hamas potesse liberare Saadat, è prova eloquente di quella che è la strategia adottata da Ehud Olmert, premier ad interim di Israele dal mese di gennaio, dopo il malore che ha tolto di scena Ariel Sharon.

La scorsa settimana Olmert ha rilasciato una serie di dichiarazioni di grande valore politico e di notevole impatto mediatico. Il capo del governo di Gerusalemme, in più interviste concesse ai maggiori quotidiani del paese, ha pubblicamente affermato che intende procedere a un ulteriore ritiro dai territori che Israele occupò nel 1967. Il successore di Sharon ha sottolineato che potrebbe compiere tale atto anche unilateralmente, senza pattuire i dettagli con la controparte, quella Anp che adesso pare chiedere all’esercito israeliano di prolungare un’occupazione contro la quale generazioni di palestinesi hanno lottato.

Le dichiarazioni di Olmert meritano la massima attenzione, in quanto esprimono con precisione la linea politica di Kadima, il partito di centro di cui Olmert stesso è stato fondatore e artefice assieme a Sharon. Le affermazioni del primo ministro israeliano sono da intendersi come una vera dichiarazione programmatica, una sorta di anticipazione delle mosse che saranno compiute da colui che dovrebbe guidare il governo israeliano anche in futuro. Secondo i sondaggi, infatti, Olmert e Kadima dovrebbero uscire vittoriosi dalle elezioni del 28 marzo.

Le dichiarazioni di Olmert devono essere considerate nel loro insieme, analizzando ogni aspetto dei propositi enunciati. Il primo ministro ha espresso i suoi progetti con la chiara intenzione di attirare verso le sue posizioni una certa fetta dell’elettorato, con la consapevolezza di poter perdere il consenso di altre frange della popolazione israeliana. La questione dei territori occupati nel 1967 è sempre stata fondamentale per tutte le competizioni elettorali in Israele, il solo Paese al mondo dove politica interna e politica estera convergono, rendendo quasi impossibile il distinguo fra l’una e altra materia.

Ribadendo l’intenzione di procedere a un ritiro unilaterale, Olmert ha confermato di essere orientato verso quella particolare fascia dell’elettorato israeliano di stampo nazionalista, ma non così oltranzista da pretendere la piena intransigenza nei confronti dei territori occupati nel 1967. Il successore di Sharon si è posto in attrito con i coloni, coloro che hanno stabilito la loro residenza in Giudea e Samaria (così essi chiamano la Cisgiordania), la terra che Dio donò al popolo ebraico e quindi deve essere parte integrante di Israele.

Al tempo stesso, secondo l’antica logica del bastone e della carota, Olmert ha concesso qualcosa ai nazionalisti, onde non perdere consensi a favore della destra del Likud. In base a quanto è stato enunciato dal capo del governo israeliano, infatti, lo Stato ebraico intende mantenere la sovranità su alcuni dei più estesi insediamenti della Cisgiordania. Alcuni fra questi, fra cui Ma’ale Admunim e Ariel, saranno ampliati, verosimilmente per accogliere quei coloni che dovranno lasciare altri insediamenti in Cisgiordania.

L’azione militare di Gerico può essere identificata come un’ulteriore mossa capace di incontrare il favore dell’elettorato nazionalista, che rimane il principale bacino di voti per Olmert e il Kadima. Se sarà confermato come premier, Olmert potrebbe veramente essere capace di portare avanti il suo programma di evacuazione dalla Cisgiordania. Il premier, infatti, gode dell’autorità necessaria agli occhi del Paese, potendo vantare un sostegno popolare rafforzato dalle circostanze storiche.

Quando è asceso alla carica di primo ministro, Olmert era già pronto per assumere una simile responsabilità, in forza di una lunga carriera politica costellata da una serie di successi: deputato all’età di 28 anni, sindaco di Gerusalemme dal 1993 al 2003, ministro e quindi vicepremier nel governo Sharon. Nel corso degli anni, Olmert era divenuto il più influente consigliere di Sharon. E’ verosimile credere che sia stato proprio l’attuale premier a convincere il suo predecessore ad adottare una linea politica meno intransigente nei confronti dei territori occupati. Olmert è stato di fatto l’architetto del ritiro da Gaza. L’annuncio del disimpegno da una parte della Cisgiordania pare essere la naturale continuazione di una politica di cui Olmert è stato l’ispiratore.

Il premier israeliano non deve però essere etichettato come pacifista a tutti i costi, che desidera il ritiro per ragioni ideologiche. Olmert, che è stato e rimarrà un nazionalista convinto, provvederà al ripiegamento perché questa è la via più conveniente per tutelare gli interessi di Israele. Olmert, come prima di lui Sharon, ha compreso che, rispetto ai decenni passati, oggi esistono le condizioni per un disimpegno di ampia portata. Negli anni 70 e 80 non si parlava di ritiro perché il tema dominante era quello della sopravvivenza del Paese ebraico. La generazione dei padri fondatori d’Israele avrebbe combattuto ad ogni costo per scongiurare un nuovo olocausto. L’esercito era l’istituzione principale del Paese, poiché avrebbe provveduto alla difesa del popolo ebraico. Nessuno avrebbe mai osato contestare il budget destinato all’esercito.

Oggi i problemi sono altri. I cittadini israeliani chiedono sviluppo e prosperità, non solo sicurezza ad ogni costo. Un nuovo ritiro dai territori considererebbe al governo di Gerusalemme di limitare le spese militari, quindi di poter disporre di maggiori risorse da destinare all’economia e alla spesa sociale. I dati resi noto dall’Ufficio nazionale di statistica dimostrano che la società israeliana sta conoscendo un progressivo impoverimento della popolazione in Israele. Una famiglia israeliana ogni cinque vive sotto la soglia di povertà. Olmert lo sa e perciò è cosciente che occorre agire per aiutare queste famiglie in difficoltà.

Il ripiegamento dalla Cisgiordania si presenta come una questione prettamente politica, senza il rischio che possa divenire un caso di coscienza. Buona parte del popolo israeliano, che dopo l’evacuazione da Gaza auspica un ripiegamento dalla Cisgiordania, è spiegabile facendo leva sul realismo politico piuttosto che con una conversione netta all’ideologia pacifista. Il realismo politico delle mosse di Olmert si intuisce considerando che, almeno per il momento, non si è fatta menzione alcuna di ritiro dal Golan, troppo cruciale per la sicurezza del Paese e quindi non suscettibile di alcun negoziato.

Come accade in ogni democrazia (e Israele lo è) i candidati cercano sempre di fare proprie le richieste dell’elettorato. Olmert sa che il Paese chiede oggi sviluppo economico e sociale, non espansione territoriale. Per questo il premier è pronto a rinunciare al disegno della “Grande Israele”, che pure ha avallato nei suoi molti anni trascorsi nei ranghi del Likud. Come hanno fatto prima di lui Barak e Sharon, rispettivamente per Libano e Gaza, Ehud Olmert è cosciente che un ritiro contribuirà a rafforzare e consolidare Israele. Con buona pace dell’Autorità nazionale palestinese, che si troverà costretta a gestire molti problemi delicati legati alla Cisgiordania.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


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