Alla conferenza di pace sull’Iraq mancheranno i veri protagonisti
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 11 aprile 2007

Nei giorni scorsi è stata annunciata la convocazione di una conferenza internazionale sull’Iraq, che dovrebbe tenersi nei giorni 3 e 4 maggio a Sharm el-Sheik in Egitto. A questo evento dovrebbero partecipare i sei Paesi confinanti (Arabia Saudita, Giordania, Iran, Kuwait, Siria, Turchia), il Bahrein, l’Egitto, la Lega araba, l’Organizzazione per la conferenza islamica e le Nazioni Unite. Saranno presenti anche i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) gli altri membri del G8 (Canada, Germania, Giappone, Italia) e l’Unione Europea.

Questa iniziativa, che non merita di essere bocciata prima ancora del suo inizio, non deve neppure essere caricata di troppe aspettative, giacché vi sono parecchi elementi che inducono a non alimentare eccessive illusioni. Nel leggere il lungo elenco di quelli che dovrebbero essere i protagonisti di tale conferenza, si nota che non è prevista la presenza di coloro che più di tutti dovranno lavorare per la ricostruzione dell’Iraq: i molti gruppi etnici e religiosi che compongono il variegato e controverso panorama politico iracheno. La presenza di mediatori internazionali, infatti, è destinata a non produrre effetti rilevanti se non si riesce a intervenire su quegli che sono i precari equilibri del paese, scaturiti da contrasti laceranti esistenti da molto tempo prima della stessa epopea di Saddam Hussein e del Baath.

Fin dalla sua nascita, avvenuta dopo la prima guerra mondiale, l’Iraq è stato caratterizzato da una grande frammentazione. Il Paese è un coacervo di etnie e religioni che mai si sono realmente integrate. Questa realtà, che avrebbe dovuto essere la base per ogni progetto di ricostruzione, è stata invece ignorata per troppo tempo da parte delle potenze occupanti. Gli Stati Uniti si erano illusi, dopo una guerra che li aveva condotti a una vittoria apparentemente rapida, di poter fondare uno Stato del tutto nuovo secondo le loro proprie convinzioni, ignari di quella che era la situazione preesistente sul campo. L’amministrazione Bush ha pensato che bastasse adottare una Costituzione per imporre regole di convivenza democratica in una nazione che mai le aveva conosciute prima.

Un altro aspetto che induce scetticismo è la scelta di tenere la conferenza in un Paese straniero. Gli iracheni appaiono sempre meno propensi ad accettare che le decisioni sulla sorte del loro Stato continuino a essere ratificate in sedi nelle quali non si sentono rappresentati affatto. Soprattutto, non è pensabile che le masse possano accettare che il destino del Paese possa essere deciso da un vertice convocato per volere dagli Usa, potenza occupante che sempre sta attirando l’odio popolare perché, dopo avere promesso una rapida evacuazione, adesso pare invece essere orientata addirittura ad aumentare il contingente militare nel Paese.

La conferenza di Sharm rischia di essere l’ennesima mossa sbagliata per la gestione di una questione sempre più complessa. Non avrà alcun valore, infatti, che i governi di altri Stati riescano a trovare un’intesa, poiché questo eventuale accordo dovrà poi essere attuato non questi stessi capi di governo bensì dagli esponenti politici iracheni.

Tutti ricordiamo il grande entusiasmo dell’opinione pubblica internazionale seguito alle prime elezioni libere in Iraq, che nel gennaio 2005 portarono alle urne otto milioni di iracheni. A distanza di due anni, ora ci rendiamo conto che quella fu solo un’effimera illusione, travolta da una realtà fatta di stragi e massacri senza soluzione di continuità.

Per imporre l’ordine, in Iraq più che altrove, gli accordi sulla carta non valgono molto se non si creano le condizioni per una collaborazione costruttiva fra le varie fazioni. Questa regola è stata ignorata troppe volte e le premesse del vertice di Sharm convincono che si possa essere di fronte a un ulteriore fallimento. Pertanto, ogni eventuale accordo che scaturirà dalla conferenza del 3-4 maggio dovrà essere accolto con la massima prudenza. I problemi dell’Iraq si devono affrontare nell’infermo di Baghdad, non in un lussuoso albergo sul Mar Rosso.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


Articoli e dossier

Home page