Hugo Chavez e Gamal Abd-el Nasser
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 25 gennaio 2006

Dopo l’affermazione elettorale di Evo Morales in Bolivia e la ancora più recente vittoria dell’esponente socialista Michelle Bachelet in Cile, l’America Latina appare sempre più orientata verso un graduale spostamento a sinistra dei suoi equilibri politici. L’attuale trend potrebbe ulteriormente rafforzarsi poiché, nell’anno appena iniziato, altre nazioni del continente si recheranno alle urne e potrebbero dare il loro consenso vincente ad altri esponenti di sinistra. Il “capostipite” del processo politico che si va affermando nel subcontinente e che ha già creato vari grattacapi all’amministrazione Bush è Hugo Chavez, presidente del Venezuela, il quale, dalla sua elezione avvenuta nel 1998, è apparso subito come una figura politica di notevole carisma.

Dall’inizio del suo mandato il presidente venezuelano ha perseguito una serie di iniziative politiche che hanno messo in seria difficoltà gli Stati Uniti, la superpotenza di fatto “padrona” del Sud America. Dopo l’11 settembre il presidente Bush, insediatosi con l’intenzione di assegnare al lato sud dell’emisfero occidentale un ruolo maggiore di quello attribuitogli dalle altre amministrazioni, ha dovuto rivolgere la propria attenzione verso altri scacchieri internazionali, trascurando le nazioni sudamericane che dopo due decenni di nefande politiche neoliberiste (volute dagli organismi economici internazionali, ma che nella mente dei popoli dell’America del Sud sono state associate all’influenza statunitense) erano ormai pronte a nuovi sviluppi e orientamenti. Di tali fermenti ha approfittato Chavez il quale, battendo sul tasto dell’antiamericanismo, ha iniziato a prospettare l’obiettivo della integrazione prima economica e poi anche politica dell’intera America Latina, rifacendosi all’ideale antispagnolo e per l’unità del subcontinente del “libertador” Simon Bolivar, ponendo gli Stati Uniti di fronte a una serie di difficoltà inaspettate.

Per affrontare il problema, i decision-makers di Washington, che non possono ispirarsi ad alcun precedente storico in Sud America, potrebbero ripensare a una situazione simile, che si presentò negli anni 50 in Medio Oriente: l’ascesa di Nasser in Egitto. Le due situazioni, pur se emerse in tempi diversi e in aree geografiche parecchio distanti, presentano molto somiglianze, sia per il contesto regionale sia per la personalità dei due leader. Negli anni 50 il Medio Oriente era in piena fase di fermento, poiché Francia e Gran Bretagna stavano ultimando il loro disimpegno. Il Medio Oriente, inoltre, presentava un tessuto sociale logoro, con una disparità abissale fra élites e masse. Queste disuguaglianze furono accentuate dall’affermazione del petrolio come fonte energetica fondamentale. Solo poche famiglie beneficiarono dello sfruttamento del greggio, mentre le masse non ne ricavarono alcun vantaggio. In questo contesto maturarono le condizioni per il successo del panarabismo, un movimento che i popoli videro come occasione favorevole per un riscatto. Campione del panarabismo fu il presidente egiziano Nasser.

Negli ultimi cinque anni, il Sud America attuale, così come il Medio Oriente degli anni 50 con la progressiva scomparsa della presenza coloniale francese e inglese, ha assistito al forzato e altrettanto progressivo disimpegno da parte degli Usa, superpotenza egemone della regione. Oltre alle affinità geopolitiche, appaiono evidenti anche le similitudini fra i due personaggi protagonisti dei due momenti storici: il presidente egiziano dell’epoca, Gamal Adb-el Nasser, e l’attuale leader venezuelano, Hugo Chavez. Entrambi nascono da famiglie molto umili, in province periferiche di Egitto e Venezuela. I due vivono una gioventù di disagio, contraddistinta da povertà ed esclusione, maturando un forte desiderio di rivalsa nei confronti delle oligarchie al potere. Il primo passo del loro riscatto è rappresentato dall’approdo nelle grandi città, centro della vita politica e sociale della nazione. Sia Nasser sia Chavez scelgono la carriera militare, il mezzo migliore per salire posizioni nella scala sociale. Fin da giovani, i due leader maturano un forte nazionalismo, inteso come desiderio di liberare il loro paese dal giogo delle potenze straniere.

La lotta contro le potenze straniere, dopo secoli di sottomissione, è un elemento ulteriore che avvicina Nasser a Chavez. Il leader egiziano conobbe il suo apogeo in seguito alla crisi di Suez del 1956, quando la sua determinazione indusse Usa e Urss a imporre il ritiro alle truppe francesi e inglesi, che avevano attaccato l’Egitto con l’aiuto dell’esercito di Israele. Uscendo trionfatore da quella prova di forza, Nasser, oltre a vedere garantito il diritto a nazionalizzare il Canale di Suez, ottenne un successo storico nei confronti delle potenze coloniali Francia e Gran Bretagna, che da quel momento non ebbero più alcuna influenza in Medio Oriente.

Hugo Chavez, da parte sua, è riuscito a ottenere qualcosa di simile quando, l’11 aprile 2002, sventando un tentativo di golpe ordito anche dagli Usa, è stato in grado di dare ulteriore legittimazione al suo mandato popolare. In quella occasione, i protagonisti del colpo di stato, peraltro subito riconosciuti come governo legittimo di Caracas dagli ambasciatori di Madrid e Washington, furono costretti a lasciare il potere dopo soli due giorni e permettere il ritorno di Chavez a causa di una serie di imponenti manifestazioni popolari a favore dell’ex ufficiale. Alla forza dei manifestanti si affiancò anche la presa di posizione internazionale di Brasile e Argentina, che subito si dichiararono contrari alla defenestrazione di Chavez. Una vittoria epica, paragonabile al Nasser che esce vincitore politico dalla crisi di Suez del 1956. Le storie di Nasser e Chavez presentano quindi molti punti in comune. Vi sono, tuttavia, elementi di diversità, sia per la differente storia di Egitto e Venezuela, sia per quel che concerne le possibili reazioni degli stati circostanti.

Il presidente egiziano, seppure avesse affermato il desiderio di rompere col passato rappresentato dalla dinastia di re Faruk, parve ispirarsi al modello rappresentato da Mohammed Alì, fondatore del moderno Egitto e quindi della dinastia cui proprio Nasser pose fine. Mohammed Alì, il comandante militare dell’esercito ottomano (nativo di Kavala in Macedonia) che guidò l’Egitto dal 1805 al 1848, riuscì a creare un’entità molto estesa, occupando la Siria, il Sudan e una parte della penisola arabica. In ogni caso Mohammed Alì, che non era arabo di etnia, non mirava a creare un grande Stato arabo, puntando piuttosto al consolidamento del suo potere personale e al rafforzamento del primato dell’Egitto. Nasser parve emulare quanto aveva fatto Mohammed Alì oltre un secolo prima. Il leader egiziano degli anni 50, che pure attribuì grande enfasi alla sua intenzione di creare un grande Stato arabo, poneva come prioritari due postulati difficili da accettare: la sua leadership personale e la sottomissione di tutti gli altri Stati all’Egitto. Questa fu la filosofia che ispirò la nascita della Repubblica Araba Unita (Rau), cui aderì la sola Siria.

Se il modello di Nasser fu Mohammed Alì, Hugo Chavez ha voluto rifarsi all’esempio di Simon Bolivar. Questi, durante la prima metà del Diciannovesimo secolo, volle farsi interprete dell’ideale dell’indipendenza dell’America Latina dal potere coloniale spagnolo, per sostituirlo con l’unità politica continentale fondata su basi democratiche e senza la prevalenza di alcuna realtà statuale sulle altre. Un obiettivo ben diverso dai progetti di Nasser e Mohammed Alì. Con l’Alba (Alternativa bolivariana per le Americhe) Chavez intende seguire il modello di integrazione pensato da Bolivar. Se si vuole fare un ulteriore paragone tra il presidente venezuelano e Nasser, si deve tenere conto della natura peculiare delle nazioni da cui provengono i due uomini. Solo dall’Egitto, culla assieme alla Grecia della civiltà occidentale e da sempre in posizione di preminenza rispetto alle altre nazioni arabe, poteva provenire un politico come Nasser e lo stesso vale per Chavez.

Il Venezuela, tra le nazioni sudamericane, ha sempre nutrito concezioni socio-politiche di respiro continentale. Questa apertura morale e intellettuale, che nell’Ottocento culminò nella figura di Bolivar, affondava probabilmente le sue radici negli elementi costitutivi della nazione venezuelana. Ad esempio, la mescolanza delle razze o la stessa posizione geografica privilegiata del Paese. Affacciato sui Carabi presso alcuni possedimenti olandesi, inglesi e francesi, godeva dei vantaggi di terra di frontiera. Non solo, l’immensa povertà del Paese rendeva il Venezuela scarsamente interessante per la madrepatria spagnola, assetata di oro e argento: meno pressante fu quindi l’influenza del paese europeo così come il peso dell’Inquisizione. Da qui ha origine la maggiore apertura al cambiamento e a nuove prospettive, che ha sempre caratterizzato il popolo venezuelano. Ulteriore elemento comune fra Egitto e Venezuela, in grado di fare la differenza, consiste nella titolarità di una risorsa strategica: il canale di Suez per l’Egitto, con cui controllare tutti i traffici dall’Europa all’Oceano Indiano e l’Oriente; il petrolio per il Venezuela attuale, con le inevitabili ricadute strategiche e geopolitiche.

Le differenze fra i due uomini politici si evidenziano anche nei risultati ottenuti come leader sopranazionali. Il carisma di Nasser, senza dubbio indiscutibile, non produsse i risultati che molti ipotizzarono nel 1956. Il leader egiziano, che fu molto amato dalle masse arabe di tutto il Medio Oriente, fu invece osteggiato dai capi di Stato e di governo dei paesi fratelli. Riflettendo, non poteva essere altrimenti, giacché il suo progetto di unificazione si fondava sull’accettazione del primato dell’Egitto e di Nasser stesso. La posizione di Chavez nei confronti degli altri Stati facenti parte del continente americano è diversa. Anche lui, come Nasser, è molto apprezzato dalle masse povere dell’America Latina, colpite dalla sua retorica, dal suo carisma personale e dai suoi propositi di lavorare attraverso l’integrazione continentale per un futuro migliore. Basti pensare alle iniziative come Telesur, la prima televisione satellitare interamente latinoamericana, in grado di fornire al pubblico notizie e informazioni dal punto di vista sudamericano, rompendo il tradizionale duopolio Cnn-Bbc, o Petrosur, il progetto rivolto all’unione di tutte le compagnie petrolifere del continente in un unico polo energetico da cui escludere le grandi multinazionali americane ed europee, per favorire lo sviluppo regionale e l’utilizzo dei proventi petroliferi nel settore sociale ed ambientale dei paesi latinoamericani interessati.

Un sentimento simile - anche se con alcune differenze e accenti diversi - si ritrova anche nei rapporti degli Paesi vicini al Venezuela. Se è vero - come è accaduto recentemente con il Brasile - che in occasione delle trattative per il Doha Round il “fratello” politico di Chavez (il presidente Lula) ha privilegiato la tutela degli interessi nazionali rispetto a quelli comuni, l’obiettivo fatto proprio da “Huguito”, come viene chiamato dai suoi concittadini - e cioè l’integrazione latinoamericana - resta sempre sullo sfondo delle discussioni tra le nazioni sudamericane riguardo il loro futuro. La ragione è dovuta al fatto che, al di là della reale capacità di influenza di Chavez, legata come è alle fluttuazioni del prezzo del greggio, l’obiettivo da lui perseguito non è destinato a rimanere solo una realtà geografica: è un concetto storico e culturale che potrà esercitare un’influenza mondiale sempre maggiore. Si tratta di un “blocco regionale” ricco di risorse. Basti pensare alla presenza di enormi potenze economiche come il Brasile o petrolifere come lo stesso Venezuela che potrebbe creare un nuovo gruppo geopolitico ed economico multipolare il quale, esulando dai tradizionali confini sudamericani, avrebbe le risorse e gli strumenti per realizzare un modello di globalizzazione e commercio alternativo a qualunque realtà economica integrata, dal modello statunitense dei trattati di libero scambio all’Unione Europea.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


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