Iran, Ahmadinejad e le colpe delle democrazie occidentali
di Rudy Caparrini
Pagine di Difesa 1 novembre 2005

I mass media di tutto il mondo hanno concesso ampio risalto alle frasi minacciose che Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell’Iran, ha pronunciato mercoledì 26 ottobre contro Israele. Il capo della Repubblica Islamica ha espresso in pubblico un concetto già evocato da Ruollah Khomeini, fondatore del regime teocratico di Teheran: “L’entità sionista andrebbe cancellata dalla mappa del mondo”.

L’esternazione del leader iraniano ha suscitato sdegno e condanna a livello internazionale. Da più parti sono giunte esortazioni affinché si intervenga contro Teheran, giungendo a chiedere l’espulsione dell’Iran dall’Onu. Le frasi di Ahmadinejad, senza alcun dubbio meritevoli di biasimo, meritano in ogni caso di essere analizzate modo approfondito, tenendo conto sia della personalità del presidente iraniano sia della storia recente del paese persiano.

Nato a Teheran da una famiglia molto modesta, Mahmoud Ahmadinejad è uno dei tanti iraniani che hanno conosciuto la povertà sotto il regime dispotico e corrotto dello Shah Mohammed Reza Pahlevi. Ahmadinejad aderì al movimento rivoluzionario guidato da Khomeini alla fine degli anni 70, militando nelle frange più estreme. In quanto discendente di una famiglia umile, egli ha sempre identificato nello Shah e negli Usa, grandi protettori della monarchia Pahlevi, i principali responsabili della situazione di estremo disagio in cui riviveva la sua famiglia e gran parte del popolo persiano. Non deve sorprendere, quindi, che Ahmadinejad sia stato uno di coloro che occuparono l’ambasciata statunitense di Teheran per ben 444 giorni, tenendo in ostaggio il personale che lavorava nella sede diplomatica.

Nel corso di tutta la sua carriera, Ahmadinejad si è sempre mantenuto su posizioni estreme e ha rappresentato la frangia più conservatrice del regime. Il suo odio per Israele è una questione vecchia di decenni poiché, come per tutti i rivoluzionari persiani, lo stato ebraico è il “Piccolo Satana”, satellite e servo del “Grande Satana” americano, quindi nemico del popolo iraniano. Il contenzioso per la Palestina è un aspetto secondario (gli iraniani sono persiani e quindi non legati ai palestinesi nel nome della decantata “solidarietà araba”).

Gli iraniani, che sapevano tutto ciò, lo hanno votato. Pur con tutti i limiti del caso, Mahmoud Ahmadinejad è stato eletto con un voto popolare. Non si è trattato di una scelta imposta dall’alto, come sovente accade in Medio Oriente. Volendo compiere un azzardo, si potrebbe perfino dire che l’elezione di Ahmadinejad sia avvenuta in modo “democratico”.

Di questa legittimazione popolare di Ahmadinejad abbiamo avuto occasione di parlare con Angelo Panebianco, professore di Relazioni Internazionali all’università di Bologna e editorialista del Corriere della Sera, che abbiamo incontrato a un seminario tenutosi a Firenze, nell’ambito dell’iniziativa “Eunomiamaster Alta Formazione Politico-Istituzionale". Panebianco ci ha detto: “Quelle presidenziali in Iran non sono state elezioni democratiche, giacché molti dei candidati erano stati bocciati prima di concorrere, quindi molti elettori hanno preferito non andare a votare”.

L’opinione di Panebianco, fra i massimi esperti in Italia, è in buona parte comprensibile. Ci siamo, tuttavia, permessi di obiettare che la scelta di disertare le urne è stata errata. Gli assenti hanno avuto torto giacché - su questo Panebianco ha concordato - non si era di fronte a un tipo di voto per cui serve un quorum per convalidare le elezioni. Sia in Iran sia all’estero tutti sapevano che il voto sarebbe stato effettivo indipendentemente dal dato sull’affluenza alle urne.

Se davvero l’opposizione in Iran è così forte come si dice, non si capisce perché le democrazie occidentali abbiamo suggerito ai moderati di disertare il voto. Ribadendo di comprendere tutte le rimostranze sulla democraticità della consultazione elettorale, si poteva comunque impedire che Ahmadinejad divenisse presidente della Repubblica islamica.

Piaccia o meno, Ahmadinejad è il presidente “legittimo” dell’Iran, giacché il suo popolo lo ha insignito di tale carica a larga maggioranza. Adesso la comunità internazionale deve trattare con lui e il suo governo. L’Onu e le democrazie occidentali devono agire con mezzi politici, rafforzando l’opposizione e favorendo un graduale ricambio di governo. La minaccia di una guerra contro Teheran avrebbe il solo effetto di rafforzare l’esecutivo nazionalista. La lezione di Mossadeq del 1953 dovrebbe avere dimostrato che non conviene toccare la corda del nazionalismo in Iran.


La Grecia contemporanea 1974-2006 La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
  Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005, di Rudy Caparrini Il Medio Oriente contemporaneo 1914-2005
di Rudy Caparrini
prefazione di Franco Cardini
ed. Masso delle Fate, 2006


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